mercoledì 10 ottobre 2012

La virtù dell'astrazione


Lavoro da anni all’Unesco e presso altri organismi internazionali, nonostante ciò ho saputo conservare un certo senso dell’umorismo e specialmente una notevole capacità d’astrazione, voglio dire che se un tizio non mi piace lo cancello immediatamente, e mentre lui parla e parla io passo a Melville, e intanto quel disgraziato crede che lo stia ascoltando. Così, se mi piace una donna posso astrarle i vestiti non appena entra nel mio campo visivo, e mentre lei mi dice che oggi c’è un tempo infame, io trascorro lunghi minuti ad ammirarle l’ombelico. Qualche volta è quasi malsana questa mia dote.
Lunedì scorso furono le orecchie che transitavano nella galleria dell’ingresso. Nel mio ufficio trovai sei orecchie; al buffet, a mezzogiorno, ce ne erano più di cinquecento, simmetricamente poste in duplice fila. Era divertente vedere ogni tanto due orecchie emergere, uscire dai ranghi e allontanarsi. Parevano ali.
Martedì scelsi qualcosa che credevo meno frequente: gli orologi da polso. Mi ingannai, perchè all’ora di pranzo ne vidi circa duecento sorvolare le tavole con un movimento di avanti-indietro che ricordava in modo straordinario l’azione di sezionare una bistecca. Mercoledì preferii ( con un certo imbarazzo) qualcosa di più fondamentale, ed elessi i bottoni. Che spettacolo. L’aria della galleria invasa da un banco di pesci dagli occhi opachi che si spostava orizzontalmente mentre ai lati di ciascun piccolo battaglione orizzontale dondolavano pendolarmente  due, tre o quattro bottoni. Nell’ascensore la saturazione era indescrivibile: centinaia di bottoni immobili, o che si muovevano appena, in uno stupendo cubo cristallografico. Ricordo in modo particolare una finestra (era pomeriggio) contro il cielo azzurro. Otto bottoni rossi disegnavano una delicata verticale, e di qua e di là si muovevano dolcemente piccoli dischi madreperlacei e pudichi. Quella donna doveva essere bellissima.
Mercoledì era quello delle Ceneri, giorno in cui i processi gastrici mi parvero adeguato corollario alla circostanza, così alle nove e mezzo fui avvilito spettatore dell’arrivo di centinaia di sacche piene di una pappetta grigia, risultato di un miscuglio fatto di cornflakes, caffelatte, e croissants. Al buffet, vidi in che modo un’arancia si suddivideva in minuti spicchi, che a un certo momento perdevano la propria forma e scendevano uno dietro l’altro andando a formare a un determinato livello un deposito bianchiccio. In questo stato l’arancia percorse il corridoio, scese quattro piani, e dopo essere entrata in un ufficio andò ad immobilizzarsi in un punto posto fra le due braccia di una poltrona. Un pò più in là si vedeva in analogo riposo un quarto di litro di tè carico. Quale curiosa parentesi (ho l’abitudine di esercitare la mia facoltà di astrazione arbitrariamente) potevo vedere anche una boccata di fumo intubarsi verticalmente, dividersi in due traslucide vesciche, uscire di nuovo tramite un tubo e dopo una graziosa voluta disperdersi in barocchi risultati. Più tardi (io stavo in un altro ufficio) trovai un pretesto per tornare a far visita all’arancia, al tè e al fumo. Ma il funo era sparito, e invece dell’arancia e del tè c’erano due sgradevoli tubi ricurvi. Persino l’astrazione ha i suoi aspetti penosi; salutai i tubi e tornai nel mio ufficio. La mia segretaria piangeva leggendo la comunicazione del mio licenziamento. Per consolarmi decisi di astrarre le sue lacrime, e per un certo tempo mi deliziai con quelle minuscole fonti cristalline che nascevano nell’aria e si riversavano allagando estratti, carta assorbente e bollettini ufficiali. La vita è piena di bellezze come questa.

Questa è una storiella di Julio Cortàzar, che mi è piaciuta molto.
Vi consiglio anche il libro da cui è tratta, si intitola "Storie di cronopios e di famas" ed è edito da Einaudi.

2 commenti:

  1. Boia ciccio, all'inizio pensavo tu l'avessi scritta te e se l'avevi scritta te eri ancora più genio di quello che sei! Bellissima.

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