Mancavano un paio d'ore circa, ed arrivato a casa decisi di uscire di nuovo per fare una
passeggiata prima dell’appuntamento. Era un bel fine pomeriggio senza vento e si percepiva
l’aria limpida e frizzante di un autunno partito da pochi giorni. I passanti
camminavano facendo attenzione a scansare le transenne dei lavori in corso, si
vedevano molte persone con le guance arrossate, dalle cui bocche uscivano
nuvolette di vapore. Decisi di fermarmi al caffè per una breve pausa, le strade
erano piene di persone affaccendate, innamorati che parlottavano fitti fitti,
manovali che posavano l’elmetto che un’ora di straordinario poteva anche
bastare per quel giorno, ed anziane signore ben agghindate che uscivano dalla chiesa
poco distante. C’è che questo caffè era forse l’unico che mi dava un po’ di
senso di appartenenza. Presi un cappuccino, una brutta abitudine che mi era
rimasta dal periodo inglese, che alle sei del pomeriggio poi lì si usava cosi. Aprii la prima pagina del mio nuovo libro, Maschere per un
massacro, un’insight di Rumiz sulla guerra nei Balcani (o quello che non
abbiamo mai voluto sapere). Il signore di fronte, che aveva preso anche lui da
bere mi guardava ingessato e passava rapidamente in esame il mio abbigliamento.
Forse la cespa, il filo di barba ed il contrasto tra le righe bianche del
maglione e il cappotto nero mi catalogavano come il solito pseudointellettuale
sinistroide. Offesa nei confronti di chi intellettuale lo è veramente e del
quale ne portavo solo la scorza. Si alzò sistemandosi gli occhiali, lucidati
fino a brillare, e mi sorrise prima di andare a pagare. Ricambiai il sorriso,
istintivamente. Il solito effetto che faccio alle persone anziane, pensai.
Rimasi sprofondato nel divanetto ancora per qualche minuto, giusto il tempo di finire
il cappuccino e perdere un po’ di tempo per non essere troppo in anticipo. I
riflessi delle luci delle insegne degli altri negozi sul vetro attiravano la
mia attenzione. Il sole era calato ed aveva lasciato spazio alla notte. L’aria
si era fatta più tersa ed il ripetitore di telefonia del palazzo di fronte si
innalzava alto nel cielo a contrastare il blu. Mi dirigevo verso il
supermercato. Un negozio piccolo e pulito, accogliente per essere un
supermercato. Credo che non ci sia niente di più umile e buono delle torte di
semolino. Accattivanti nel loro aspetto e soddisfacenti nella loro consistenza.
Una semplicità, forse un po’ rustica, ma di quelle che spalancavano un sorriso.
Oltre allo stomaco. Ne presi una e mi diressi puntuale verso casa sua.
"Ciao", un volto allegro dietro una porta marrone, e di colpo ci ritrovavamo a parlare del presente, e
del futuro. Poi del passato, che ci conoscevamo da tanto ormai. Con freschezza
mi raccontava della sua vita, ed insieme snodavamo la discussione su più
fronti, in una atmosfera calda ed accogliente. Mi aveva fatto trovare una cena
favolosa, e chiacchierare davanti a quel buon piatto di pesce mi dava una
sensazione di estremo benessere. Senza ragione apparente le opinioni convergevano con una naturalezza impressionante. Una inaspettata, forte empatia dettata dalla stravolgente
somiglianza delle nostre vicende personali aleggiava attorno a noi. La sfumata consapevolezza dell'equilibrio creatosi veniva mantenuta celata. Quasi a non volerla consumare. Impressioni, analisi e frammenti di vita di una analogia tale che le sentivo combaciare come
chiusure a scatto, in serie, come due sequenze amminoacidiche che si legano
progressivamente. Come se uno stesso percorso si fosse sdoppiato in mitosi su
due corpi differenti e venisse di colpo rivelato dalle nostre parole. Spiegarsi i perché
della vita, con la stessa intensità mi faceva realizzare gradatamente quanto negli anni i
nostri processi di maturazione si fossero compiuti alla stessa velocità ed avessero raggiunto lo stesso livello. Tre ore
intense e piacevoli con una delle persone più intellettualmente stimolanti di sempre.
Scrivere di queste rarità è un piacere, prima di tutto per me.